Lungo la Strada Costiera che unisce Porto d’Adda e Villa Paradiso si trova, al centro di un piccolo spiazza dominato da due grandi tigli, un’edicola sacra dalle forme eleganti, contenente un’urna di vetro che conserva ossa umane.
La costruzione dell’edicola risale al 1928, su forte spinta dell’allora parroco di Porto d’Adda, don Giulio Ambrosiani, che voleva in questo modo sia onorare la memoria dei soldati di Porto morti durante il Primo conflitto mondiale (della cui fine ricorreva allora il decennale), sia predisporre una più degna sistemazione ai resti umani che erano già precedentemente lì conservati in una cappelletta fatiscente. Della costruzione si occupò la Società Edison, che applicò lo stesso stile architettonico adottato per la Centrale idroelettrica C. Esterle di Cornate, ultimata nel 1914: su scala ridotta si ritrovano le stesse colonnine e le stesse decorazioni a graffio.
Di particolare interesse è il nome con cui questa edicola è nota, “i mort de San Cerech”. L’origine è legata alla battaglia avvenuta il 15 agosto 1705 lungo le sponde dell’Adda, nei pressi di Cornate d’Adda, e che vide scontrarsi le truppe austriache guidate da Eugenio di Savoia e quelle franco-spagnole al seguito di Luigi Giuseppe, duca di Vendôme, durante la Guerra di successione spagnola (1701-1714). Lo scontro si sarebbe risolto con un nulla di fatto e i due eserciti si sarebbero infatti scontrati il giorno successivo nei pressi di Cassano, ma la battaglia sarebbe rimasta profondamente impressa nella memoria storica di Porto d’Adda.
Ma chi è questo San Cerech? Per saperlo bisogna conoscere meglio uno dei due comandanti che si scontrarono quel giorno, Eugenio di Savoia. Nato e cresciuto alla corte di Luigi XIV, rimasto orfano del padre in tenera età e trascurato dalla madre, Eugenio venne indirizzato contro la propria volontà alla carriera ecclesiastica, venendo per questo soprannominato le petit abbé de Savoy, “il piccolo abate Savoia”. Questo soprannome lo accompagnò anche quando abbandonò Parigi per Vienna, sdegnato dal netto rifiuto di Luigi XIV alla sua richiesta di abbandonare la carriera religiosa a favore di quella militare, per cui si sentiva portato. Il soprannome lo seguì anche nel 1705, quando scese in Italia, ormai quarantenne e con alle spalle una gloriosa carriera militare nell’esercito asburgico di Leopoldo I, per portare aiuto al cugino Vittorio Amedeo II di Savoia, assediato a Torino dai francesi. In Lombardia abbé si trasformò in cerech, il “chierico”. Dopo che le ossa dei mort del Cerech furono raccolte e sistemate nella precedente cappelletta, fu la devozione popolare a fare poi il resto: gli abitanti di Porto che si recavano presso l’edicola a invocare la pioggia durante le estate secche iniziarono, processione dopo processione, a chiamarlo anche “Santo”, dimenticatisi ormai chi fosse veramente questo San Cerech.
Nel luglio del 2006 la Pro Loco fece prelevare dall’urna due campioni ossei di scatola cranica e li inviò ad un laboratorio scientifico in Florida per accertare, tramite analisi del Carbonio-14, la datazione dei resti umani. Con grande sorpresa, i risultati dell’esame datarono i frammenti ossei in due intervalli di tempo diversi a cavallo dell’anno 1000 d.C., e non, come si pensava, agli inizi del Settecento. Ciò significa che fra i mort del Cerech non sono presenti – forse – soltanto i soldati austriaci caduti il 15 agosto 1705, ma anche anonime figure di età medievali, morte in scontri di cui non si conserva più memoria. I loro resti ci sono però stati conservati dalla semplice ma salda devozione degli abitanti di Porto, che ritrovarono probabilmente le loro ossa durante i lavori dei campi.
Nel 2020 l’edicola è stata restaurata a cura della Società Edison.