Quando, dopo essere entrati nella chiesa di S. Giuseppe, ci si volta verso l’uscita, si rimane meravigliati dal grande e maestoso affresco del Giudizio Universale che occupa l’intera facciata interna dell’edificio. L’affresco, realizzato nel 1944 da Vanni Rossi, è un tripudio di figure e di colori, che colpisce lo spettatore, lasciandolo in uno stato di estatica ammirazione. Quando l’occhio si è saziato dell’insieme, ecco che sorge la sete del dettaglio: lo sguardo si sofferma sul volto di ogni figura, per cercare di riconoscerne un tratto particolare che la renda unica e diversa dalle altre. Si potrebbero passare ore, fermi in piedi, a scrutare nella penombra le figure che affollano la parete.

Proviamo ora a osservare insieme l’affresco. In alto al centro, maestoso, sta il Cristo giudice, racchiuso in una mandorla di calda luce celeste, che con la destra chiama le anime destinate alla beatitudine al suo fianco e con la sinistra condanna le anime peccatrici alle profondità infernali. Al suo fianco, a destra e a sinistra, i dodici apostoli, seduti sui loro scranni di candide nuvole; alle sue spalle, l’insieme delle anime beate, un arcobaleno di tonalità tenui e sfumate.

Appena al di sotto, un coro di angeli, teneramente ritratti come bambini impegnati a suonare le trombe dell’Apocalisse, con le guance gonfie e rosseggianti per il grande sforzo. Due di loro sorreggono il grande libro della parola divina e mostrano il suo invito: Surgite [mortui, venite] ad Judicium, “Alzatevi, defunti, venite al Giudizio”.

In basso a sinistra, le anime dei risorgenti destinati alla beatitudine ascendono al Cielo con un movimento concorde e armonico. I loro volti, estasiati dalla luce divina, guardano in alto, verso Cristo, mentre angeli biancovestiti dal volto gentile li accompagnano in quest’ultimo viaggio. Insieme alle anime, anche i corpi, alcuni dei quali, appena fuoriusciti dalla terra che li aveva ricoperti, portano ancora i segni del passare del tempo (in basso a destra).

In basso a destra, le anime dei dannati sprofondano invece negli abissi infernali. Ogni genere di peccato, punito secondo contrappasso, può essere riconosciuto sulla parete: oltre ai sette peccati capitali – ira, avarizia, invidia, superbia, gola, accidia, lussuria – anche il suicidio, la violenza, la vanità ecc. ecc. Diavoli torturatori, dai voli arcigni o maliziosi, spuntano qua e là fra la confusionaria marea di anime dannate per punirli e torturarle in ogni modo.

Fra le anime, anche alcune reminiscenze dantesche, come Paolo e Francesca e il Conte Ugolino (rimandiamo a tal proposito ad un articolo dedicato all’argomento e al volumetto “Suggestioni dantesche”, pubblicato dalla Pro Loco nel 2021 in occasione del settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri), ma anche alcune figure delle contemporaneità. Si tratta niente meno che di Adolf Hilter e Benito Mussolini (ancora vivi quando l’affresco fu completato!), colpevoli delle tante sofferenze che afflissero l’Europa e, nel privato, anche l’artista. Il primo, con sguardo folle e assassino, viene strozzato da un grande serpente che soffoca a propria volta, incapace di placare la propria sete di sangue anche nell’oltretomba; il secondo, invece, mostra un’espressione contrita, penitente, e spinge un grande masso, su cui Vanni Rossi vergò la seguente poesiola:

Si diè mano a questo lavor portento

nel quinto anno d’una guerra ingiusta e crudel,

fra gente perversa, ladra e scontenta,

onde l’Italia, martoriata, sconta l’ambizioso fallo.

Quanti uomini su questa tragica parete potevan essere ritratti obbligando noi pittori a cercar in altro loco albergo fra gente avida ed incosciente

sopportare lungo cammin, per sei mesi, come due pellegrini.

L’animo nostro non vuol nessun a bruciar,

il Buon Dio sa!!!

Con immani sacrifici e disgrazie, solo armato d’un sano Ideal, compiuto s’è il “Giudizio”, nessuno potè fermare l’artista, né i dolori né il male.

Tu che leggi e su questi fai il tuo giudizio, medita ben l’opra del pittor; ricorda chi per questa lottò lavorò e soffrì, perché l’umanità si ravveda, torni buona;

e dal Creator non sia data cotal terribil pena.

Queste e molte altre sono le figure presenti nel Giudizio Universale di Vanni Rossi nella chiesa di S. Giuseppe a Porto d’Adda. Immortalate dal pennello di Vanni Rossi, aspettano immobili sulla parete, nel loro stato di eterna grazia o dannazione, in attesa che entri qualcuno a cui raccontare la propria storia.